Il 2014 sarà ricordato come un anno di transizione nel clima politico europeo. Dopo la guerra civile in Ucraina orientale e l’incorporazione della Crimea da parte della Federazione Russa, il continente sta vivendo un’inversione da un sistema di consenso a un sistema che ricorda più la passata opposizione tra NATO e Patto di Varsavia. Questo cambiamento può sembrare ancora più sorprendente, perché il nuovo ordine che era emerso rapidamente dopo la fine della guerra fredda, con le sue conferenze e vertici regolari, era diventato l’ordine del giorno. Sfortunatamente, le relazioni internazionali non seguono un percorso uniforme di progresso; non c’è, naturalmente, una “fine della storia”.
Ci sono stati anche momenti salienti nel passato. In particolare, l’esperienza del Congresso di Vienna dopo la caduta di Napoleone Bonaparte è stata una svolta nelle relazioni internazionali. Il suo bicentenario nel 2014-15 è un’utile occasione per riflettere su una questione che è tornata alla ribalta con l’attuale crisi in Ucraina: quando sorgono forti differenze tra due o più potenze, qual è il modo più efficace e meno costoso per risolverle? In assenza di un efficace arbitrato internazionale, tre metodi sono stati tradizionalmente utilizzati: la guerra (come un duello giudiziario), l’equilibrio di potere (due blocchi militari che si neutralizzano reciprocamente, per paura di un conflitto aperto), e la diplomazia delle conferenze. Tutte e tre sono state applicate in Europa nell’era post-napoleonica e in quest’ordine.
La prima era la guerra. Napoleone si impegnò nelle sue campagne d’invasione deliberatamente, e con determinazione a sangue freddo. Per lui, come avrebbe scritto in seguito Carl von Clausewitz: “La guerra è un atto di violenza volto a costringere l’avversario a compiere la propria volontà”. Senza dubbio, l’imperatore dei francesi usò efficacemente questa forma di argomentazione contro due delle grandi potenze dell’epoca, l’Austria e la Prussia: con due veloci campagne nel 1805 e nel 1806, sconfisse decisamente la prima, e cancellò la seconda dalla carta geografica. Applicando il principio che “il potere rende giusti”, ottenne la soddisfazione di tutte le sue pretese, compresa la mano della figlia dell’imperatore d’Austria.
La guerra è comunque un affare rischioso e tende ad attirare le punizioni. Le campagne di Napoleone furono costose sia in termini umani che economici per la Francia e per l’Europa in generale. Soprattutto, la sua invasione della Russia si concluse con una triste debacle, e fu seguita da una fulminea controffensiva russa nel cuore della Germania, culminata nella battaglia di Lipsia dell’ottobre 1813 (chiamata anche battaglia delle Nazioni). Alla fine, gli alleati occuparono Parigi nel maggio dell’anno successivo. Toccava a loro scrivere i trattati a loro piacimento; i plenipotenziari francesi non potevano fare a meno di inchinarsi e firmarli.
La questione era allora come ricostruire un nuovo ordine europeo: questo fu il compito del Congresso di Vienna, che si svolse dal settembre 1814 al giugno 1815. Dopo una rivoluzione francese e venti anni di guerra, le frontiere di molti Stati erano state arbitrariamente cambiate, e alcune erano state addirittura cancellate dalla carta geografica. Quindi il continente, e in particolare la Germania, era in uno stato di caos politico. Soprattutto, c’era una nuova minaccia. L’Europa era stata a lungo divisa in due alleanze militari, un fenomeno chiamato allora “equilibrio di potere”: le alleanze cambiavano, ma c’erano sempre stati due blocchi opposti. (Gli anni precedenti non avevano fatto eccezione, poiché l’impero francese aveva spinto alla creazione di coalizioni continentali). Non appena Napoleone fu sconfitto, diffidenze e rivalità riemersero quasi immediatamente. Sembrava che la storia stesse per ripetersi.
La crisi scoppiò nell’inverno del 1815, quando lo zar russo Alessandro I manifestò il suo desiderio di estendere il suo controllo sulla Polonia. Le due potenze rivali della Russia, Prussia e Austria, si allarmarono seriamente per questo progetto, che avrebbe spostato i confini russi più a ovest. Il principe Klemens von Metternich, il ministro degli esteri austriaco, non voleva dare alla Russia il controllo delle alture sopra una delle principali vie d’invasione verso Vienna; il piano dello zar minacciava anche di trasformare la Prussia in uno stato vassallo della Russia. L’Austria e la Prussia arrivarono a proporre un’alleanza segreta alla Francia recentemente sconfitta. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, Lord Castlereagh, il ministro degli Esteri, era preoccupato della crescita del potere russo e della spaccatura tra le potenze continentali. C’era il rischio reale che il progetto russo, per quanto ben intenzionato, potesse degenerare in una nuova divisione del continente, e forse in una guerra.
Fortunatamente, il peggio fu evitato grazie ad abili manovre diplomatiche, e perché entrambe le parti volevano trovare una soluzione amichevole. L’Austria e la Prussia volevano assicurarsi la propria sicurezza, ma soprattutto volevano la pace dopo due decenni di guerra estenuante. Quanto allo zar, aveva cercato di stringere un’alleanza con l’Inghilterra già nel settembre 1804, e oltre a ciò, una “federazione” europea che si sarebbe fondata sul diritto delle nazioni (un’idea che si ricollegava ai “Piani di pace perpetua” dell’Illuminismo). Quindi l’ultima cosa che desiderava era un nuovo conflitto, congelato o aperto. Quando si rese conto che il suo piano stava portando a un’impasse, fece marcia indietro e accettò la necessità di negoziare. Un altro aspetto, che può essere riassunto sotto il principio paradossale che “la pace è per i forti, la guerra è per i deboli”, è che essendo il vincitore di Napoleone, era in una buona posizione – moralmente e sul terreno – per chiedere la pace.
Finalmente, l’Atto finale del Congresso di Vienna del 9 giugno 1815 definì la sistemazione territoriale dell’Europa in generale, e della Polonia in particolare. La crisi polacca ebbe un esito inaspettato: alla fine rafforzò la solidarietà tra gli alleati. Nel settembre dello stesso anno, lo zar propose alle altre potenze un breve trattato chiamato Santa Alleanza. Era originale in quanto non era per fare la pace ma per mantenerla. In una prima versione (censurata da Metternich), suggeriva addirittura che Russia, Prussia e Austria fossero “una sola nazione”, e prevedeva un esercito comune. Nella sua forma finale, contribuì alla nascita del Sistema dei Congressi: per alcuni anni (fino al 1822), le Grandi Potenze si incontravano regolarmente per parlare di sicurezza e di questioni di interesse. Per farlo, sceglievano diverse città d’Europa per le loro riunioni, iniziando una tradizione che continua ancora oggi: Aix-la-Chapelle (Aachen), Carlsbad (Karlovy Vary), Troppau (Opava), di nuovo Vienna, Laibach (Ljubljana) e infine Verona. Questo segna la nascita della diplomazia delle conferenze nelle relazioni internazionali.
La maggior parte degli Stati europei, ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e della Santa Sede, hanno firmato il trattato della Santa Alleanza. Gli inglesi erano comunque contenti di partecipare a un sistema continentale che permetteva loro di difendere i propri interessi in Europa, che riguardavano soprattutto il commercio marittimo. Il sistema dei congressi divenne un esempio funzionale di come potenze con interessi diversi potessero incontrarsi regolarmente per stabilire un terreno comune per la sicurezza collettiva in Europa. Le conferenze (che all’epoca si chiamavano “congressi”) non erano incontri perfunzionali, magari per onorare qualche agenda istituzionale o tenere un fronte pubblico, ma attività sostanziali volte a risolvere questioni specifiche. Per altri tre decenni, fino alla guerra di Crimea (1853-56), non ci fu una divisione dell’Europa in due alleanze, ma solo un unico blocco, che divenne noto come il Concerto d’Europa. L’espressione “famiglia europea” ebbe in quegli anni una voga senza precedenti.
Questo sistema politico aveva però i suoi difetti, perché mirava alla conservazione dei principi dello status quo e della legittimità dinastica, a tutti i costi. Sul piano interno, portava a disordini pubblici e alla repressione delle libertà civili, dalla censura della stampa alla chiusura dei parlamenti, un fenomeno chiamato Reazione. Purtroppo, il compito dei congressi divenne soprattutto quello di “mantenere la pace” tra le popolazioni in Europa, attraverso interventi coordinati e spesso brutali degli eserciti alleati. Il risultato finale fu una successione infinita di insurrezioni durante gli anni 1820, fino alle rivoluzioni del 1848. Il conte Adam Czartoryski, ex ministro dello zar diventato patriota polacco, lamentava che, sebbene la Santa Alleanza fosse stata conclusa in nome delle leggi sante ed eterne, la diplomazia aveva trasformato questa garanzia in veleno.
Considerando questa esperienza storica, ci sono lezioni che si potrebbero trarre dalla crisi polacca dell’inizio del 1815, e dalla nascita del Sistema dei Congressi, per la crisi di oggi in Ucraina orientale? Potremmo evidenziarne tre.
La prima è che la divisione del continente in due blocchi antagonisti non è mai stata sicura per la sicurezza europea. I monarchi e i diplomatici del 1815 si resero conto che non era possibile stabilire la pace, tanto meno mantenerla; invece di un equilibrio di potere (militare), preferirono un equilibrio di negoziazione. Oggi, un’escalation con un rafforzamento degli antagonismi tra la NATO e la Russia riuscirebbe solo a redividere l’Europa in due blocchi opposti. In un tale conflitto congelato, la pace sarebbe una “tregua armata”, con un aumento del rischio di conflitto aperto.
La seconda lezione è che il negoziato tra le due parti può portare a risultati più efficaci del confronto, e ad un costo inferiore. L’esito positivo della crisi polacca del 1815 si è materializzato perché una delle parti che poteva permetterselo, si è prudentemente ritirata dalla lotta, permettendo così uno spazio per la negoziazione. Oggi, solo una concomitante diminuzione delle minacce militari aprirebbe delle vie per la risoluzione pacifica delle differenze.
La terza lezione del sistema di Vienna è che ignorare i desideri delle popolazioni, o costringerle, porta a disordini politici senza fine. La censura della stampa e gli interventi militari di potenze straniere – non importa quanto ben intenzionati – non sono riusciti a calmare i disordini pubblici; li hanno solo trattenuti per un po’. Un ulteriore requisito che la diplomazia delle conferenze di oggi deve quindi soddisfare, rispetto a quella del 1815, è quello di prestare maggiore attenzione alle richieste di rappresentanza politica delle popolazioni interessate (un diritto che è stato tristemente negato ai polacchi). Per stabilire una pace duratura – e quindi la sicurezza – non è quindi sufficiente concentrarsi sugli interessi geopolitici degli Stati coinvolti, durante i negoziati diplomatici. È ormai un principio consolidato che le popolazioni umane non sono merce di scambio che può essere sequestrata, come fece Napoleone, o scambiata tra Stati, come fecero le Grandi Potenze al Congresso di Vienna. In particolare, la Carta delle Nazioni Unite insiste sui diritti umani fondamentali, così come la dignità e il valore della persona umana. Quindi, prima di decidere su qualsiasi soluzione territoriale, i desideri di tutti i cittadini interessati dovrebbero essere attentamente riconsiderati, nel quadro di un referendum democratico rigorosamente libero e legale. Per soddisfare i criteri di legalità, dovrebbe essere organizzato sotto la sovranità dell’Ucraina, lo Stato preesistente riconosciuto dalla comunità internazionale.
Note
Si prega di visitare il sito web dell’autore a http://www.ghervas.net/ e per maggiori informazioni sul libro dell’autore Réinventer la tradition: Alexandre Stourdza et l’Europe de la Sainte-Alliance si prega di visitare http://www.ghervas.net/fr_FR/publications/reinventer-la-tradition.html
0 commenti