Il glicole etilenico, un comune antigelo, refrigerante e solvente industriale, è responsabile di molti casi di avvelenamento accidentale e intenzionale ogni anno. In seguito all’ingestione, il glicole etilenico viene prima metabolizzato epaticamente in glicoaldeide dall’alcol deidrogenasi. La glicoaldeide viene poi ossidata ad acido glicolico, acido gliossilico e infine acido ossalico. Mentre il glicole etilenico in sé causa intossicazione, l’accumulo di metaboliti tossici è responsabile dell’acidosi potenzialmente fatale e dell’insufficienza renale, che caratterizza l’avvelenamento da glicole etilenico. Il trattamento dell’avvelenamento da glicole etilenico consiste nella stabilizzazione d’emergenza, nella correzione dell’acidosi metabolica, nell’inibizione di un ulteriore metabolismo e nel miglioramento dell’eliminazione sia del composto genitore non metabolizzato che dei suoi metaboliti. La prevenzione del metabolismo del glicole etilenico si realizza con l’uso di antidoti che inibiscono l’alcol deidrogenasi. Storicamente, questo è stato fatto con dosi intossicanti di etanolo. Ad una concentrazione sufficientemente alta, l’etanolo satura l’alcol deidrogenasi, impedendole di agire sul glicole etilenico, permettendo così a quest’ultimo di essere escreto immutato dai reni. Tuttavia, la terapia con etanolo è complicata dalla sua tossicità intrinseca e dalla necessità di monitorare attentamente le concentrazioni di etanolo nel siero e di regolare la velocità di somministrazione. Una recente alternativa alla terapia con etanolo è il fomepizolo, o 4-metilpirazolo. Come l’etanolo, il fomepizolo inibisce l’alcol deidrogenasi; tuttavia lo fa senza produrre gravi effetti avversi. A differenza dell’etanolo, il fomepizolo viene metabolizzato in modo prevedibile, consentendo l’uso di un regime di somministrazione standard e validato. La terapia con fomepizolo elimina la necessità dell’emodialisi che è richiesta in pazienti selezionati che non sono acidotici e hanno una funzione renale adeguata.
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