Cesare Borgia (1475-1517) era il più brillante, ambizioso e vigoroso dei figli illegittimi del cardinale Rodrigo Borgia, che divenne papa come Alessandro VI nel 1492. Dieci anni dopo, a circa vent’anni, Cesare era noto per la bellezza della sua persona, dei suoi abiti e delle sue donne. Era anche capitano generale dell’esercito papale e impegnato, con l’aiuto francese, in campagne a nord di Roma per ristabilire l’autorità papale nell’Italia centrale e ritagliare un principato come base permanente del potere della famiglia Borgia. Adottando il motto Aut Caesar, aut nihil (‘O Cesare o niente’), nel 1499 prese le città di Imola e Forlì, nel 1500-01 Rimini, Pesaro e Faenza. Nel giugno 1502 Urbino si arrese, il suo precedente padrone e fedele alleato di Cesare, Guidobaldo da Montefeltro, costretto a fuggire nella notte con nient’altro che i vestiti sulle spalle.
Cesare passò a Imola in settembre, da cui intendeva, con l’assistenza tecnica di Leonardo da Vinci, prendere Bologna, la più grande città della regione. Alcuni dei suoi capitani, tuttavia, si erano allarmati per la portata delle sue ambizioni, che minacciavano le loro signorie nell’Italia centrale. Hanno escogitato un piano per prendere Cesare alla sprovvista con i loro uomini. I capi erano Vitellozzo Vitelli, il sifilitico signore di Città di Castello, che si diceva non avesse mai fatto un atto di buon cuore in vita sua, Oliverotto da Fermo, che per il potere aveva assassinato il suo stesso zio, Francesco Orsini di Gravina, e Paolo Orsini, signore di Palombara, che era conosciuto poco gentilmente come “mia signora”.
Le notizie della cospirazione trapelarono a Cesare, che mandò un messaggio ai cospiratori, assicurando loro la sua continua considerazione e promettendo loro sostanziose ricompense se gli fossero rimasti fedeli. Inoltre organizzò altre truppe francesi e assunse un corpo di mercenari svizzeri. Con lui da ottobre c’era un ambasciatore di Firenze, Niccolo Machiavelli, che non era molto più vecchio. La sua esperienza di Cesare in prima persona in questa situazione ebbe una forte influenza sull’immagine che Macchiavelli dà del principe rinascimentale spietato e cinico.
In ottobre, Cesare esercitò il suo fascino su Paolo Orsini e gli diede un trattato formale di riconciliazione, che ognuno dei principali cospiratori doveva firmare. Dopo tortuose discussioni ed emendamenti, mentre Cesare aspettava il momento opportuno, Orsini portò il patto firmato a Imola alla fine di novembre. Cesare ora si trasferì a Cesena e ordinò ai cospiratori di prendere Sinigallia sulla costa adriatica. Tre giorni prima di Natale – per cullare i cospiratori in un falso senso di sicurezza, secondo Machiavelli – Cesare mandò via la maggior parte dei suoi rinforzi francesi. I cospiratori entrarono a Sinigallia il 26 dicembre e suggerirono a Cesare di unirsi a loro, dato che la cittadella si sarebbe arresa solo a lui. Cesare vi marciò, inviando l’ordine che i cospiratori ritirassero i loro uomini dalla città per far posto alle sue truppe, lasciando Oliverotto a tenerla.
Alle prime ore del 31 dicembre, Cesare arrivò a Sinigallia con il suo esercito. Si rallegrò con i cospiratori, che vennero solertemente circondati da amici sorridenti, mentre il suo esercito li separava nettamente dai loro uomini. Altri amici andarono a rassicurare Oliverotto. Andarono tutti in una casa scelta della città dove, ad un segnale di Cesare, il sorriso cessò improvvisamente e i cospiratori furono sopraffatti.
Li lasciò cuocere fino a quella notte. Nelle prime ore del mattino seguente, Vitelozzo e Oliveretto furono fatti salire e fatti sedere schiena contro schiena su una panca con una corda legata al collo di entrambi. Una sbarra di ferro fu infilata nella corda e fatta girare fino a strangolarli entrambi a morte, compagni fino alla fine. Gli Orsini furono strangolati il mese successivo.
L’Europa risuonò delle lodi di Cesare per un colpo da maestro di sottigliezza e di abilità. Machiavelli la definì “un’impresa rara e meravigliosa”. Venezia e Firenze inviarono messaggi di congratulazione e approvazione. Il re di Francia lo definì “degno dell’antica Roma”.
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